IL PESO DELL'ONORE

I.VII

Quando Syrizo chiuse la sua ode al tramonto, il sole annegava dolce nelle acque. Le sirene erano attorniate da occhi d'ogni genere e specie, la loro voce era udibile attraverso tutti i sensi, così da concedere anche al mollusco dalla conchiglia più coriacea la delizia delle loro storie.
Seirio si avvicinò alla sorella poetessa per farsi suggerire la parola su cui costruire la propria narrazione, come voleva l'antica regola di quel contenzioso senza vincitori né vinti. Così facendo, anticipò Thelgo, cui spettava in verità il turno, ma non v'era offesa nel gesto. 
Thelgo rinnegava con odio muto e ancestrale la sofferta educazione ricevuta prima dell'adozione da parte dell'amato Kraken e quando la delegazione dei serpenti marini era finalmente giunta, con i suoi viscidi tutori d'infanzia in testa, il ricordo delle torture la confuse. 
Per questo Seirio aveva deciso d'intercedere in suo favore, dandole il tempo di riprendersi con una leggenda...

Le deboli fiamme imprigionate nelle lanterne funebri riverberavano sulla lastra ghiacciata della laguna, mentre le ultime lame viola del tramonto fendevano i nembi sottili.
Il ronin sedeva sulla neve, l'elmo appoggiato nell'incavo delle gambe incrociate, immobile. Cristalli di gelo decoravano le sottili placche della sua armatura. Gli occhi socchiusi, sotto le cispose sopracciglia, scrutavano lenti il centro di quella fredda distesa.
Il guerriero lasciò scivolare le ore, mentre sorella vendetta ne teneva desta l'attenzione dei sensi e ne alimentava il calore delle membra.
Quando le stelle brillarono del loro massimo fulgore, un occhio di porpora dal fondale oscuro si schiuse e una colonna di vapore si levò verso la luna, divorando il guscio di ghiaccio che  proteggeva il drago.
La creatura emerse lenta, con il muso da alligatore contratto in un leggero ghigno. Le scaglie candide che ne decoravano il corpo immenso e longilineo riflettevano il brillio della chioma dorata e dei poderosi artigli. 
«Deliziami cavaliere disgraziato.» sussurrò la bestia con una voce simile al tintinnio dei campanelli, ergendosi di fronte a quel piccolo uomo senza timori.
Il ronin, si sollevò leggero dal terreno, estraendo nel contempo la spada dal fodero. Il riflesso delle stelle ne bagnò la lama. 
«Capisco.» constatò neutro il drago, e avvicinò il capo all'impavido mortale, quasi a sfiorarlo con i lunghi bargigli «sei consapevole che la tua morte non libererà il villaggio dalla mia vorace presenza, né riporterà in vita il tuo padrone e la sua signora?»
Gli occhi del guerriero si annebbiarono di furia e con un grido si gettò contro il mostruoso nemico. La sua rincorsa si spezzò nell'acqua e il peso della carta dell'armatura, sempre più zuppa a ogni passo, lo costrinse ad arrancare. Il sibilo della katana che oscillava verso il petto del gigantesco animale scandiva il rapido affondare degli stivali nella melma. 
«È imbarazzante, non credi?»
Le risa di scherno del drago graffiarono l'orgoglio dello sfidante, distante ancora alcuni metri dal suo obiettivo, ma già fiaccato dall'umiliazione. L'uomo abbassò il capo e rinfoderò l'arma, in attesa che la morte lavasse l'onta subita.
«Ti concedo un accordo, svela il mio arcano e potrai cedere il peso del tuo onore in cambio di un desiderio di ugual valore.»
Il ronin accettò, nonostante l'offerta avesse il sapore dell'inganno. Ogni possibilità di proteggere il villaggio dalla fame del drago aveva la precedenza sulla bramosia di vendicare i defunti.
«Trenta bianchi destrieri su un colle rosso, battono e mordono, ma nessun si è mosso, qual è il loro nome?»
Una lunga riflessione, poi un sorriso piegò lieve le labbra alla pronuncia della risposta: «i denti.»
La bestia corrucciò la fronte rugosa, contrariata.
«Liberaci dalla tua presenza e riporta in vita le tue vittime» esclamò allora l'uomo, levando il pugno chiuso.
«Frena la tua inquietudine» ringhiò il rettile «il tuo valore non copre l'insieme di ciò che pretendi.»
Seguì una pausa, densa e sospesa. Gli occhi di fuoco si socchiusero per alcuni istanti.
«Ti pongo di fronte a un bivio: la mia testa e la risurrezione di tutte le mie prede meno una...» uno scintillio sinistro accompagnò la schiusa delle palpebre «la sposa del tuo padrone.»
Il ronin cadde in ginocchio, sprofondando nell'acqua sino alla vita, soffocato dagli stessi battiti del suo cuore. 
«O la sola vita di lei, in alternativa.»
Il guerriero non riuscì a impedire alle lacrime di sgorgare, schiacciato da quel terribile interrogativo, incapace di formulare una risposta e tentato dal concedere il ferro della katana alle proprie viscere per fuggire quello straziante dilemma.
Poi cedette: «la donna. Solo la donna.»
E la risata sinistra del mostro riecheggiò tra le colline, terribile come la risposta che seguì:
«Povero amico, un prevedibile egoismo ti ha reso più leggero di una nocciola ai miei occhi. Il tuo spirito non vale più nemmeno il respiro di una ranocchia.»
E il drago si inabissò, lasciando che le acque limacciose gelassero di nuovo, in attesa della prossima caccia. 
Sulla superficie, un uomo cancellava la vergogna nel proprio sangue. 

[Grazie a Michela]


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