IL MIETITORE DI AMBRA GRIGIA


I.VIII

La delegazione dei serpenti marini aveva apprezzato il racconto di Seirio dedicato al grande drago bianco delle lagune, e parvero non accorgersi del turbamento di Thelgo, muta e in disparte, consolata dalle nere carezze delle mante, che li osservava con il cuore traboccante livore per i patimenti subiti nell'età dell'innocenza. I suoi perfidi tutori mulinellavano le spire nell'acqua, in fremito per la magnificenza di quelle narrazioni.
Aglae emerse allora nel suo voluttuoso splendore per deliziare quell'immensa fetta di creato con una nuova storia, dando così altri preziosi istanti alla sorella, prima del suo inevitabile turno:

Un muro di fiamme fantasma gocciolava verso l'alto a carezzare le nubi aranciate, fuochi fatui di giganti spiaggiati sulla grigie sabbie di Ocean Beach. La fine dell'inverno battezzava la costa disgraziata con i corpi consumati di non meno di cento capodogli. Carcasse inservibili, immangiabili, il cui grasso metifico, così prezioso e saporito da giustificare corse di lance e galeoni per gli oceani, era ormai ricettacolo di viscidi parassiti e botulismo.
L'odore nauseabondo, trasportato dai venti, impregnava vesti, cordame, capelli e persino il legname poroso di usci e finestre, al punto da costringere gli abitanti dei villaggi nel raggio di cento miglia a mantenere accesi falò di arbusti aromatici sulla soglia, onde evitare poi mesi di puzzo appestante.
In quel cimitero di elefanti delle acque poche anime avevano coraggio di avventurarsi, per lo più streghe e assassini in fuga dalla forca, per trovarvi spesso una morte fetida, ma liberi da catene. E lui, il mietitore di ambra grigia, con la sua falce dal filo brillante, la buia cappa e la maschera da medico della peste.
Borsa a tracolla, l'uomo vibrava sicuri fendenti al fianco delle balene, squartandone il blubber putrescente e le viscere marce, alla ricerca del tesoro degli speziali. Quelle masse consumate difatti celavano tra gl'intestini una sostanza di rara e pregiata fragranza, una grigia incrostazione che pare sapone Windsor maturo o vecchio formaggio grasso e variegato. Le manciate così estratte, molli e cerose, dal valore di una ghinea d'oro all'oncia, venivano adoperate per profumi, pasticche, candele preziose, polveri per i capelli e pomate.
Ma l'estrazione di quel macabro bottino, all'ombra di cadaveri e antiche ossa di creature abbandonatesi sulla riva negli inverni passati, come colonne di un tempio pagano, lordava la pelle dell'uomo in modo irreparabile. Macchie brune ne tatuavano la carne e nemmeno le abluzioni dei farmacisti più costosi di San Francisco riuscivano a cancellarne traccia. Emanavano poi lo stesso olezzo malato dei cetacei, tanto che il mietitore, per quanto arricchito dal proprio commercio, si reputava la più disgraziata tra le anime, allontanato persino dalle più ignobili prostitute.  
Gli rimanevano solo le onde scure del mare per compagne fedeli, sempre pronte ad accoglierlo con il loro soffice lamento salmastro e cristallino. A ogni nuova raccolta gli lanciavano il loro richiamo d'abbandono e più di una volta quel pallido individuo s'era concesso ai flutti, lasciando che le acque gli riempissero i polmoni, ma il terrore del vacuo lo costringeva a desistere dal proposito suicida e a trascinare ancora l'infelice esistenza.
Tutto mutò in una notte di burrasca, sotto un cielo di densi cumuli lividi di tuoni e carichi di grandine. Il mietitore ignorava i colpi delle piccole sfere di ghiaccio, mentre infilava nella saccoccia il morbido bottino appena estratto dal ventre squarciato di un'immensa bestia, quando una voce femminile, flebile ma autoritaria, gli chiese attenzione.
Tra le increspature dell'acqua emergeva una testa femminile dalla chioma purpurea, circondata da un'aurea fosforescente che ne esaltava l'azzurro abissale dello sguardo. Sorrideva la magnifica creatura, che dell'uomo aveva rapito la vista e tutti i sensi in un sol respiro. Il petto emerse, mostrandosi gonfio, generoso, sormontato da capezzoli puntuti color ciliegia, mentre una coda sagomata solleticava la superficie liquida facendo capolino di punta tra le onde.
La sirena lo invitò a congiungersi al lei nella morsa gelida dell'abisso, tenera e lasciva, e non vi fu resistenza. La borsa enfia di ambra grigia si perse tra le alghe del fondale, mentre i loro sessi si univano, in un amplesso malinconico. La femmina né assaporò avida l'orgasmo, risucchiato da un corpo prossimo all'annegamento, trascinato nel vuoto infinito dalle sue spire. Il mietitore, il petto in fiamme, la gola strozzata, accettò quella fine e i sensi lo naufragarono nel ricordo immediato di quell'unico attimo di felicità.
Quando rinvenne, sugli scogli di una striscia costiera sconosciuta, senza vesti, ma guarito dalle macchie maleodoranti, senza scopo ma con due paia di membra robuste e il sole a guidarne il cammino, un sorriso gli piegò le guance imbiancate dal sale. Era di nuovo e finalmente il cacciatore della propria fortuna.

[Grazie a Sara]


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