IL PROFESSORE E IL SOLDATO

II.VIII


La storia degli Odradek inquieta l'uditorio e una selva di nubi minacciose concorre ad alimentare una tensione palpabile, d'imminente rovina. Aglae, abile narratrice di novelle condite da piccanti delizie, si offre di distrarre il suo pubblico con una cronaca di forti sentimenti...

Un raggio di smeraldo tagliava l'orizzonte sul finire del tramonto. La luce filtrava attraverso la tendina di canne che ombreggiava il patio aperto del bar, una piccola costruzione di legno e pietra lavica incassata tra le pietre della spiaggia. Tra le fessure s'intravedevano le ombre di Lipari e Vulcano, come odalische titaniche nella foschia, a vegliare la processione di imbarcazioni dirette tra i loro scogli per la quotidiana mattanza di alici e caponi o l'abbandono di confinati jugoslavi.
Le prigioni vulcaniche accoglievano nel loro abbraccio di rena nera un piccolo popolo di disgraziati, che respirava già la libertà trasportata dal ponente dopo la conquista di Pantelleria e Lampedusa da parte degli americani.
Il professore, quarant'anni di maturità bergamasca severa, sottile nel corpo e nella mente, seguiva sulle onde di Radio Londra la caduta di Palermo, raggiunta in meno di una settimana dal generale Patton e il suo esercito di “negri, froci ed ebrei”, come li definiva a denti stretti il questore, individuo sgradevole nella sua bassezza fisica e morale, con il vile coraggio di una bottiglia di liquore di limoni e la mestizia d'indossare una camicia nera scolorita dal sapone americano. Sapone che le donne maritate di Capo d'Orlando, quell'angolo sassoso di Sicilia, strofinavano sulla roccia porosa del lavatoio per mondare il peccato nelle vesti pregne di umori di desiderio fedifrago, in un anelito di liberazione simile a quello dei confinati, a cui univano nel vento il loro coro di sospiri.
Alcune, più audaci, offrivano talvolta all'invidia delle vicine di bucato macchie più dense, dall'odore pregnante, pericolosi trofei che nei silenzi di orgoglioso imbarazzo manifestavano la loro più eloquente allusione, prima di lasciare allo strofinio il perdono sottratto al confessionale.
Il questore si versò mesto un altro bicchiere di limoncello, senza impedire ad alcune gocce di sporcare il tavolino, un brutto intreccio metallico di foglie d'acanto, traballante design d'orgoglio fascista. La Beretta, lucida e carica, appoggiata sul Corriere, vibrò al posarsi della bottiglia, sotto lo sguardo tronfio e severo del Duce in prima pagina.
«Stanno arrivando» la voce del professore s'indirizzò all'uomo in divisa quasi per esclusione, il piccolo patio del locale era deserto, a parte loro due e l'anima petulante del monolito radiofonico. Le onde si infrangevano sui sassi della riva con un ritmo lento e cadenzato.
«Lo devo ammazzare.» Fu la risposta, tra i singhiozzi, di quell'individuo tarchiato, un unico cisposo sopracciglio incassato nella fronte contratta dalla gelosia, i pori del viso sformati dalla barbaccia incolta e arrossati dal sudore.
Il professore, così chiamato più per scherno da un paese che non poteva privarsi delle braccia dei suoi figli per deliscare i merluzzi, si rivolse al disgraziato come ai tempi in cui faceva lezione alla stalla vuota affidatagli per l'insegnamento.
«Stanno arrivando» ripeté, fissandosi le mani e ripensando ai primi mesi di confino, lunghe cicatrici di lenze scivolavano tra i calli, unendo la beffa al patimento di quell'esilio. Condannato non per un ideale, ma per il sospetto di uno scambio intimo con uno studente.
La necessità, dettata dalle bocche affamate di tre figlie e una donna milanese tanto innamorata da  non poter capire i desideri del marito quanto inutile nei suoi studi di dattilografia, lo costrinse dopo i primi mesi ad alternare l'isolamento nell'aula, dove insegnava equazioni ai muri in un impeto di impotente orgoglio didattico, con la caccia al pesce spada. Interruppe quel ruolo umiliante quando poté acquistare il bar sulla spiaggia.
«Che altro posso fare?» domandò retorico il questore, afferrando la rivoltella e agitandola nell'aria in un moto di folle e teatrale gelosia «o ammazzo lui, o m'ammazzo io.»
L'interlocutore si tolse gli occhiali dalle lenti tonde incassate nella fine montatura d'argento annerito e si strofinò le palpebre per dare sollievo alla sclera arrossata dalla salsedine trasportata dal vento.
Da una finestra sopra le loro teste il suono leggero di uno scacciapensieri produceva un'eco di note tonde e l'avvertiva che le donne erano nelle loro camere, sia le amanti di professione, che quelle per eccezione. E queste ultime pagavano per l'anonimato di un incontro con stalloni dalla parlata incomprensibile, ma dagli orgasmi potenti e addolciti dal cioccolato purissimo delle razioni k. Era raro che ne lasciassero sfuggire anche una sola goccia, più voraci delle stesse puttane.
Il professore rivolse un sorriso placido all'uomo con la pistola: «o ti ammazzo io.»
Il questore, interdetto, abbassò l'arma. Da lontano si fece presente il borbottio della camionetta carica di virilità straniera.
«E se tu riuscissi a infilarmi una pallottola nel cranio prima che io abbia finito di strozzarti, ci penseranno loro
E in quell'ultima coppia di sillabe, troppo cariche d'identità nascoste per riferirsi a un manipolo di soldati infoiati, l'inflessione della voce s'increspò di disprezzo. L'ufficiale fascista assunse un'espressione idiota e si rincagnò in se stesso, rimpicciolendosi.
«Levati dal cazzo e porta da un medico quella poveraccia di tua moglie, magari riescono a salvarle l'occhio. Gliel'avevi fatto quasi saltare questa mattina.»
Si levò dal tavolo, senza attendere la reazione del questore. Sapeva che loro stavano osservando ed era pericoloso rimanere su una traiettoria di tiro immaginaria. Erano stati loro a permettere lo sbarco degli alleati, loro a guidarne il percorso, loro a permettere a un esiliato di ottenere la licenza di un bar che presto avrebbe accolto i rifugiati delle isole e loro a trasformarlo in un bordello per sollazzare e controllare l'investimento bellico. Loro avrebbero protetto la camionetta americana che stava parcheggiando con un rombo potente, mentre la Giulietta del fascista cornuto si allontanava in direzione opposta.
Il professore avrebbe voluto vivere dell'amore di una sposa ingenua, espiare la colpa di un errore passionale, ma serviva un uomo intelligente a gestire un avamposto così delicato e la sua debolezza fu una leva troppo facile da tirare.
Diviso in un desiderio schizofrenico, con un sentimento siamese di un'affezione nata dal tradimento, si diresse verso la riva accolto dai riflessi color arancio della distesa d'acqua davanti a lui, realizzando che il mare è dentro le persone nell'istante stesso in cui David, il giovane primo ufficiale dei marine, lo abbracciò alla vita e, con dolcezza, lo baciò sul collo.

[Grazie a Elena]


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