LA PANTERA E IL CAPITANO OLANDESE


II.II

La baleniera passa oltre, scomparendo nell'orizzonte, con gran sollievo di Syrizo che, coraggiosa, ha affrontato da sola il mostro famelico per cantare l'ode di apertura di quel secondo giorno. Aglae l'abbraccia con tutto l'amore di una sorella, mentre le creature del mare prendono posto tra le correnti, in attesa di un nuovo racconto:

Catania d'estate. Quando il sole tramonta, la luce s'increspa e tra le strade si sollevano nembi di smog liberati dalle motoapi scassate nel traffico del mercato del pesce. Una fila di alberi di dattero, ridotti a tronchi secchi dai parassiti, proietta ombre di frescura sui bordelli segreti di via Palermo a cui si accede da saracinesche storte, fissate malamente su antiche mura, memoria di arabi, romani e Svevi, impastate di sabbia e cemento da palazzinari senz'alcuna arte edilizia.
La prostituta marocchina offre il culo bruno alla porta, nuda sulle lenzuola sudate, ronfando un sonno da gatta, o da pantera, considerati i solchi arrossati sulla schiena dell'uomo che le accarezza il profilo sotto i riflessi polvere. Un gesto stanco, consumato.
A guardarlo senza attenzione, il suo viso cosparso di fitte rughe scivolerebbe via dal vostro ricordo senza tracce: l'occhio ceruleo, la zazzera marrone e spenta, un accenno di barba a sporcare un viso altrimenti armonioso. Nulla di così marcato da rimanere impresso, se non fosse per i modi raffinati, di una cortesia lusinghiera e studiata, residui di un'esistenza da seduttore sconfitto. E delle cento lingue conosciute non un accento, un tartaglio, ma sempre una pronuncia neutra e grave, una semantica sintetica, mai ineducata, studiata nei secoli d'esilio sul vascello fantasma. L'Olandese Volante.
«Le navi senza comandante affondano meno spesso di quelle che ce l'hanno.» recita distante il capitano Van Dam, nel ricordo stimolato dal profumo acre della femmina sotto le sue dita. Rivede nitidi i cavalloni dell'Atlantico mentre si sollevano come palazzi a penetrare i cumuli neri della tempesta, in un amplesso primordiale rischiarato da lampi accecanti.
L'uomo si aggrappa al timone, bestemmiando quanto può esserci di sacro. Nel delirio della natura, una tomba del mare invisibile sino all'ultimo istante li sfiora, schiodando alcune assi della fiancata. Il vascello scorre oltre, è una carcassa di legno e carni impestate, sul ponte cadaveri gonfi segnati da una qualche rovinosa epidemia, alla deriva nell'oceano. Tetro e beffardo presagio. Anche l'Olandese Volante, il galeone di Van Dam, cova i germi della peste e affrontare il Capo di Buona Speranza con gli elementi contrari è pura, disperata, necessità, a costo di affondare tra le punte aguzze degli scogli. L'alternativa è il contagio, o chiedere la grazia a Satana in persona. E nel frangente della tragedia la vita agli uomini appare sempre il bene che vale qualsiasi prezzo.
Il demonio non gode nemmeno del piacere di tentarlo, quando Van Dam gioca la propria anima ai dadi. Tale è la disperazione che il messo degli inferi è accolto come il messia quando si materializza sul ponte, in una vampa di zolfo. E al riflesso delle fiamme di petrolio della cabina si consuma la sconfitta. Il capitano e la sua ciurma tramutati in spiriti erranti, fino al risuonare delle trombe del giudizio.

Una mano di un tiepido caffelatte scivola sul suo sesso. L'intrico di braccialetti ondeggia sull'anca pallida, seguendo il ritmo delle carezze languide. La donna, ancora sopita, si accoccola con il capo sul ventre dell'uomo.
«E poi scese l'Arcangelo...» sussurra lui, digrignando i denti per la rabbia. «a dettare le condizioni di Dio, invidioso delle nuove pedine dell'inferno.»
Un paio di labbra gonfie gli avvolgono il pene, in un lento risucchio accompagnato dal gentile massaggio della lingua.
L'uomo la ferma, portando quel volto lascivo all'altezza del suo sguardo.
«Un giorno, ogni sette anni. L'intervallo tra due zenit, in cui mi viene concesso l'attracco e un corpo di carne, per trovare una donna che ricambi il mio amore, così da annullare il patto diabolico e concedere la pace eterna al mio equipaggio.»
La prostituta sente il petto sciogliersi nella malinconia, vittima dell'ipnosi struggente di quella voce.
«E in più di tre secoli ho conquistato le promesse di fedeltà di dame e meretrici, suore e regine, ma il loro sentimento era eccessivo, troppo dipendente ed esclusivo rispetto a quello che potevo offrire.»
Van Dam sorride, sconfortato per il destino beffardo.
«Mi amavano come non avrei mai potuto amarle, perché il mio cuore è votato all'ossessione del navigare, spaccato in due tra il desiderio di una compagna e la nostalgia di ciò a cui dovrei rinunciare, per quanto dannato e mostruoso sia incedere incorporeo nei vacui abissi.»
La frase cade in un sospiro. Il capitano condivide quella sospensione con la tenerezza di un padre, consapevole dell'incapacità di quella donna di poter corrispondere e replicare il suo affetto malato, perché solo nella follia avrebbe potuto emulare la passione di quel disgraziato per la propria stessa maledizione.
Ma a quel punto la dama d'ebano non piange, non si stringe sconfortata tra le coperte, non soffoca nell'isteria il dolore di non poter essere corrisposta, non si consuma nel rifiuto come tante altre compagne di letto prima di lei.
La magnifica felina socchiude le palpebre e con un'alzata di spalle riabbassa il capo.
«Fanculo, godiamocela.» conclude, prima di stringere tra le tonsille l'erezione dell'uomo.
E a Van Dam, deliziato, non resta che obbedire.

[Grazie a Lucia]


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